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Filippo Bernabei: dalla Street al Pop (passando per Kurt Cobain)

Aggiornamento: 1 lug 2022

A tu per tu col pittore faentino classe '84, autodidatta, amante della musica e dei fumetti, con diverse mostre alle spalle da Roma a Londra.


Ilaria: Da dove è nato il tutto, come nascono il lavoro e le opere di Filippo Bernabei?

Filippo: Dai Nirvana. Kurt Cobain, la gente se lo immagina sempre come musicista e cantante ecc. NO, perlomeno non solo. Kurt faceva dei quadri spaziali, tecnicamente non belli, ma malatissimi. Non c’era di testa. Addirittura, una loro copertina era disegnata da lui, “Incesticide”. Essendo il mio secondo amore, perché io vivo di musica e arte, e uno dei miei primi amori a 12 anni sono stati proprio i Nirvana, allora mi sono detto: “Non saprò mai cantare o suonare come Cobain, però posso dipingere come Cobain”. Così sono andato a comprare le prime tele e i primi colori. Quindi se qualcuno mi chiede da che artista è nato il tutto, da chi sono stato influenzato…beh da un musicista. A me piace un sacco questa cosa, i miei primi amori si sono amalgamati ed è nato tutto da lì.

Ilaria: quanto ci metti a fare una tela?

Filippo: Io non ho un modus operandi. Molti mi fanno questa domanda. Ci posso mettere 2 ore come 2 mesi. Semplicemente perché io prendo la tela bianca, la appoggio lì, poi in base a cos’ho per le mani, matita, colori, comincio a stratificare roba, e a un certo punto ti allontani dalla tela ed è finita, ma non sai come sia successo. Se so prima cosa sto facendo e come verrà fuori? Assolutamente no. Non ne ho la più pallida idea. Io mi diverto molto in questo modo perché, se sei un creativo la tua testa è come il nastro trasportatore delle valige in aeroporto. È un continuo. Quando ti da, che apri e stendi una tela nuova, devi prendere una valigia, e usi quella, poi continuano a girare, non finiscono mai. Dopo la prima valigia, ne ho altre 100. In ogni momento posso prenderne su una e creare. Il discorso dell’ispirazione, mettermi lì a dipingere se sono ispirato, non funziona. Se fosse così, allora non si è un vero creativo, da dover aspettare il momento in cui magari l'ispirazione arriva una volta al mese o anche meno. Dev’essere un continuo secondo me, e creare con quello che hai e che cogli.

Ilaria: Ho notato che nei tuoi quadri, specialmente nei primi, c’era l'uovo, fritto o all’occhio di bue per capirci, come figura ricorrente. Adesso non è presente nelle tue opere, ma pensi di farlo ritornare fuori?

Filippo: sì, perché è una di quelle cose che io infilo nei miei quadri, non so perché gliela infilo, non so cosa voglia dire ma so che qualcosa vuol dire, non so che cosa con esattezza, ma so che un significato ce l'ha da qualche parte, ma non mi interessa neanche darglielo alla fine, non lo voglio sapere.

Ilaria: Una libera interpretazione delle persone quindi? Filippo: Assolutamente! Uno ci può vedere quello che gli pare! ...e poi comunque mi richiama molto l'immaginario POP! eh beh io vengo da lì, dal pop, dai cartoni, dai fumetti. Per molte cose mi rifaccio a quello.

Ilaria: quindi quell'elemento ricorrente che invece è sempre nei tuoi quadri é un cartone? Un personaggio? Filippo: allora…io mi sono fissato con questa poco ambiziosa idea di rappresentare l'intera popolazione mondiale prima di morire, nel senso che questa che vedi nei miei quadri, è semplicemente tutta la gente che vedi per strada. È la moltitudine di facce che vedi per strada, sembrano tutte uguali, ma in verità io sto molto attento a non farne mai una identica all'altra. Magari un millimetro o una lineetta la cambio, sempre, in tutte, assolutamente.

Sono visi, sono semplicemente visi. Quindi se voglio rappresentare 7 miliardi di persone, devo dipingere 7 miliardi di facce diverse, altrimenti si perde il concetto. Perché io sono molto d'accordo con la frase di Bukowski che dice:

il più grande spettacolo del mondo è la gente e non si paga il biglietto”

Io sono capace di stare quattro ore in strada fermo a fissare la gente perché mi interessa, mi perdo a guardare la gente.

Quindi semplicemente è tutta la gente che vedo per strada, stilizzata al massimo. Chiaramente la forma viene dai miei primi lavori anche se ora è leggermente cambiata. Viso e due occhi stilizzata al massimo. Talmente tanto che un giorno, una signora mi ha chiesto: “ma perché tu dipingi sempre gelati?”

Tutto intorno invece c’è tutto il mio immaginario visivo di colori.

"Blackest eye - Porcupine Tree". "Hell is where I shelter"


Ilaria: C’è un perché della scelta di quei soli pochi colori?

Filippo: No! Ho notato che vado molto a periodi brevissimi. Capaci di durare 3 giorni. Nel senso che sono capace di fare 5 tele azzurre, viola o verdi e poi cambiare subito. Non so sinceramente il perché. In passato usavo solamente il viola e l’arancione, mentre ora mi sono buttato molto sul verde, molto acido. Sono comunque colori molto pop, che rimandano a quell’immaginario.


Ilaria: Ci sono altri elementi, che vedo spesso come questi cerchi ricorrenti, delle spirali. Dipende dai quadri, ma ci sono sempre queste figure circolari.

Filippo: Vorrei dire che è tutta farina del mio sacco ma no. Io me la sono spiegata così: a me è sempre piaciuto moltissimo Mirò. E c’è questo quadro appunto, il trittico Blu di Joan Mirò, che sono praticamente 3 quadri vicini completamente blu, enormi, con solo dei cerchi rossi che si susseguono tipo i miei, e secondo me vengono da lí. Un giorno sono cominciati ad apparire nei miei quadri, mi chiedevo perché facessi questi cerchi. Io infatti lavoro così. Prima faccio le cose, poi mi chiedo da dove vengano. Nella mia testa funziona così.

Le spirali invece è un’influenza d’infanzia. Da bambino ero molto appassionato di videogiochi della LucasArts tipo Monkey Island. La LucasArts era una casa di produzione specializzata in questi videogiochi, con mondi e saghe. Aveva sviluppato questa grafica presente in tutti i suoi videogiochi, che ricordava molto Tim Burton (La sposa Cadavere, Nightmare before Christmas) quindi se sommi la mia adorazione per questi videogiochi, Tim Burton, il pop, il risultato non poteva essere che questo. È una somma di tutte le influenze che poi rielabori crescendo e poi personalizzi, la fai tua. Non si scappa dalle influenze. Puoi provarci quanto vuoi ma non scappi! Puoi inventarti qualcosa di personale ma prima o poi, ciò che ti ha influenzato nella vita, torna fuori. Quindi ecco, nei miei quadri è come se ci fossero 37 anni della mia vita, stratificati e condensati che io ho masticato e ributtato fuori.


"Tales from the Red Zone Vol. II" . "Just in time to wait another bit"

Ilaria: Parlami di questo quadro.

"In the fade" - Queens of the Stone Age

Filippo: ha un valore quasi simbolico. È il primo lavoro che ho fatto quando è iniziato il lockdown, in assoluto. Prima mi ero quasi fermato per due anni. Non ho toccato pennelli per due anni. Ero sfiduciato, deluso, bloccato. Non mi veniva niente. Poi non so per quale motivo, quando siamo entrati in lockdown, mi sono chiesto: “cosa posso fare chiuso in casa?” – chiaramente mi rimetto a dipingere. Non avevo più fiducia, ero convinto che avrei buttato la tela, che tanto oramai era una cosa andata e invece dal nulla è riesplosa tutta da un giorno all’altro, in due, tre ore al massimo è venuta fuori lei, questa tela. L’ho guardata e mi sono detto “si ricomincia”. Mamma autostima torna alla grande e non puoi che esserne contento.


Ilaria: Parlami ora invece di questo quadro. Perché non ci sono colori, i cerchi e tutte le figure ricorrenti che solitamente usi.

"I'm invisible/I'm invisible/I'm invisible".

Filippo: Fondamentalmente, questi visi, queste facce non sono altro che la moltitudine di persone che vedi per la strada. Questo quadro doveva essere la summa di questo concetto ma portato al basic, togliendo colori, togliendo qualsiasi cosa, solamente questo concetto, quindi solamente facce, solamente black and white, una diversa dall’altra perché chiaramente come ho detto prima, non ce ne sono due identiche. Mi è dispiaciuto molto che nessuno lo abbia considerato. Probabilmente per l’assenza di colore. A me penalizza l’utilizzo di colori così forti e spinti che piacciono molto e si è quindi assolutamente perso. Il concetto non lo ha considerato nessuno, non c’erano colori e quindi han pensato che fosse un disegnetto così, un pò insignificante, invece no, era la summa di tutto questo, però non ha funzionato. Io però ci sono molto attaccato.


C’è anche da dire, che senza colore, ne niente, ricorda forse le opere di Mr. Doodle, l’artista inglese che disegna „scarabocchi” con una linea continua, uno dopo l’altro, spesso senza colorarli all’interno: nei suoi disegni quasi non esistono vuoti, ogni spazio ha bisogno di essere riempito. Forse riporta a qualcosa del genere ma per me è importante perché il concetto che c’è dietro è ciò da cui sono nati tutti i visi e tutte le facce e i vari elementi ricorrenti.

"Zero one one one zero zero one one"

Quest’altro invece che è similissimo ma c’è qualche spruzzo di colore, cerchio ed elemento in più, ha suscitato maggiore interesse.

Ciò mi fa pensare che spesso l’attenzione per il tuo lavoro sia veramente un fatto estetico più che di concetto o ragionamento che puoi metterci dietro. Purtroppo però, l’arte è estetica, e tu puoi farci ben poco.




Ilaria: Quali sono i materiali che usi maggiormente? Filippo: Acrilico, smalto, mai l’olio, non mi piace. Matita per disegnare prima e anche i banalissimi Uniposca perché essendo pennarelli ad acqua, è molto facile ombreggiare anche con le dita, sono versatilissimi. Io uso solamente roba che si diluisce in acqua, non roba sintetica che ha bisogno di acqua ragia. Per due motivi: da una parte per comodità d’uso, dall’altra parte per il progetto creativo in sé. Per gli effetti che voglio ottenere io vanno bene questi materiali.


"Deadcrush" - Alt-j

Filippo: Vedi questo personaggino qua? L’ho dipinto nel 2007. Ma sai quando ho finito questa tela? Gli ultimi mesi dell’anno scorso. Questa tela ha 15 anni di gestazione. Vedi? Quando mi chiedono quanto ci metto a fare una tela…

Ilaria: Dalle due ore ai 15 anni…

Filippo: eh si, questa ci ho messo proprio 15 anni a finirla. Ricordo che questa tela rimase lì in un angolo, completamente a sfondo nero, non ci feci più nulla…

C’era solo l’omino bianco con sto sfondo nero, poi è sempre rimasta li, per 15 anni

Ilaria: E cosa sta a significare? Questo è sempre il viso ricorrente? Quest’altra invece sembra una persona triste e abbattuta

Filippo: ha il naso lungo di pinocchio, mmmh…deve essere un bugiardo. E sopra una corona di spine o un‘aureola probabilmente. Io non sono minimamente cattolico o credente ma in famiglia ho una zia suora, ho un retaggio. La tradizione cristiana c’è sempre stata e in qualche maniera mi deve avere influenzato perché metto dovunque aureole, corone di spine, croci, e non può che venire dalla tradizione cristiana. Per il resto non saprei, quando troverò un bravo psicoanalista ti potrò dire cosa vogliono dire.


Ilaria: é stato un immenso piacere conoscere Filippo, é stata una chiacchierata divertente, illuminante ed introspettiva e mi ha permesso di entrare nel suo mondo. Potete seguirlo sul suo profilo Instagram @too.many.faces_art e il suo sito dove poter acquistare le opere: https://www.saatchiart.com/filobernabei.






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