Il Mio Salotto
Come sarebbero i grandi capolavori se rifatti da Van Gogh?
Su Vincent Van Gogh di tutto è stato detto e se possibile anche di più. Non cercherò quindi di riportare qui altre considerazioni sulla sua stravagante vita o riflessioni sulla psiche di uno dei maggiori esponenti mondiali della pittura, ma credo possa essere interessante creare un piccolo approfondimento sul Vincent Van Gogh copista. Una forma d’arte colonna portante nella crescita artistica di qualsiasi pittore che personalmente trovo affascinante quanto le opere più originali. Copiare un quadro portando le caratteristiche del proprio stile nel mondo creato da un altro individuo: un incrocio di universi paralleli che solo in questo modo riescono a toccarsi. Come sappiamo Van Gogh nella sua vita venne in contatto con alcuni dei più grandi pittori dell’ epoca e del passato, da Emile Bernard a Jean Francois Millet o il grande Rembrandt. Da quest’ultimo copiò la resurrezione di Lazzaro e da ognuno di loro, come ogni grande uomo sa fare, seppe estrapolare preziosi insegnamenti.
Prendiamo appunto come primo esempio "La resurrezione di Lazzaro", un capolavoro di Caravaggio, del 1609. riproposta anche da Rembrandt nel 1630 (foto a sinistra) e rivisitato circa 250 anni dopo da Van Gogh (foto a destra).

Van Gogh rivisita l’intera tela trasformando la cupa scena realistica in una esplosione di lucentezza che sembra provenire da un mondo differente. La scena è totalmente stravolta e a guardare il paragone si possono intuire chiaramente i diversi sentimenti provati. Molto simile è l’esempio della "Pietà" di Eugene Delacroix (foto a sinistra) dove oltre alle caratteristiche pennellate e i soliti colori più accesi ci sembra di nuovo evidente la differenza dei punti di vista dei due artisti. Come Van Gogh (foto a destra) sembri vedere un mondo fatto di qualcosa più vivo rispetto a quello che siamo abituati a vedere ogni giorno.

Come ultimo esempio vorrei portare "La Cortigiana" di Keisai Eisen (foto a sinistra), esponente del Giapponismo a cui Van Gogh, come gran parte dei salotti d’arte francesi d’800, si appassiona.
Il dipinto è riproposto dal pittore olandese (foto a destra) su uno sfondo naturale, che ci riporta all’amore incondizionato per quella vita che esiste solo lontano dal traffico delle città e che Van Gogh fu in grado di trasformare in sogni fantastici ad occhi aperti. E di nuovo non sa non farsi
tentare dalla vivacità di questi colori che sembrano accompagnarlo per tutta la sua esistenza , e oltre.

Ora che sono ben chiari ai nostri occhi questi paragoni artistici, è a parer mio molto più
semplice riconoscere la grandezza di Vincent Van Gogh. Diventa evidente il suo modo differente di cogliere gli istanti di questo mondo e anche se la copiatura era ovviamente un modo per migliorarsi e acquisire nuove tecniche, in Van Gogh più che in chiunque altro sembra immutabile la visione immateriale della vita, quel saper cogliere le sensazioni provate e tramutarle sulla tela con indicibile naturalezza, donando ai paesaggi , ma anche ai ritratti, quella vitalità di cui godono quotidianamente ma che l’occhio umano comunemente non riesce a concepire.
Sia stata questa dunque la grande dote di Van Gogh, che non risiedeva tanto nella sua mano quanto nel suo occhio, e poco importa se in vita non fu capito, se non ereditò ricchezze e fama dalle sue opere, finché potè vedere la vera anima di questo mondo fu in grado di scorgere oltre le sciagure e infamie della vita, imparando così una verità che noi forse non conosciamo.
